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La tempesta in arrivo: intervista a Harry Giglio / #URBANinsights

La tempesta in arrivo: intervista a Harry Giglio / #URBANinsights

Con questo articolo inauguriamo #URBANinsights, una serie di interviste e approfondimenti esclusivi dedicati ai vincitori di URBAN Photo Awards. Partiamo con Harry Giglio, vincitore assoluto dell’edizione 2020 del contest.


Ciao Harry, grazie per averci dedicato del tempo. Come ti presenteresti a chi ancora non ti conosce come fotografo?
Sono un fotografo commerciale di Pittsburgh in Pennsylvania e un regista/videomaker specializzato in fotografia editoriale, aziendale, lifestyle e ritrattistica. Ho esposto a New York, Los Angeles, Chicago, in Europa e in Giappone.

Voglio congratularmi con te per “Approaching Storm”, la foto vincitrice di URBAN 2020 Photo Awards, selezionata da Alex Webb. Puoi raccontarci il “dietro le quinte” dello scatto?
Nell’immagine “Approaching Storm” ho voluto rappresentare diverse forze opposte che coesistono nello stesso tempo e luogo… e in armonia, anche se non era una cosa che avevo in mente! Mentre giravo un video in questa calzoleria, durante una soleggiata mattina d’estate, ho chiesto al proprietario se avessi potuto ritrarlo davanti al suo negozio. Subito ho visto che in lontananza stava arrivando un temporale e ciò a cui stavo assistendo mi ha ispirato e affascinato, poi l’immagine mi è apparsa in mente. Questi due simboli opposti di tranquillità e potere mi hanno colpito, e sapevo che avrei dovuto agire in fretta prima che cominciasse a piovere. La gente spesso si chiede come mai il calzolaio fosse così inconsapevole della tempesta, io dico che non ha mai saputo che c’era una tempesta dietro di lui… finché non ha sentito il tuono!

Da quanto tempo fotografi? Perché hai scelto la carriera di fotografo professionista? Come ti sei interessato a questo mestiere?
Ho conseguito una laurea in belle arti all’Università Carnegie-Mellon. Oltre a vari corsi in questo settore, ho studiato anche Garphic e Industrial Design. Durante quel periodo, mi sono avvicinato alla fotografia che mi ha coinvolto molto più di altri corsi. È stato davvero strano, perché mio padre è un appassionato fotografo amatoriale ma io non ho mai voluto saperne durante la mia infanzia, non mi è mai interessato, anzi mi infastidiva. Sono dovuto crescere per capire il me stesso di tanti anni fa. Dopo la laurea, ho lavorato in un laboratorio fotografico che produceva pellicole e realizzava stampe a colori, questo mi ha dato l’opportunità di creare il mio portfolio. Con quel portfolio sono stato assunto come assistente alla fotografia e in seguito sono diventato un fotografo, man mano che l’azienda cresceva. A 26 anni ho aperto il mio studio e, dato che avevo pochi clienti, ho potuto avviare la mia carriera. Durante quei primi anni mi occupavo principalmente di fotografia industriale, di natura morta e location. Illuminavo tutto, non importava quanto grande fosse il set, non c’era mai luce a sufficenza e ancora ce n’è raramente. Quando l’attività è cresciuta, sono diventato uno specialista nella food photography e le mie abilità nel gestire la luce hanno continuato a crescere. La mia attività si basava principalmente su agenzie pubblicitarie, studi di design e società… solo per citarne alcuni: Westinghouse, Rockwell, Gulf, United States Steel, Stouffers, Heinz e molti altri. Dopo i primi 10 anni nel mio studio, mi sono trasferito in uno nuovo, una bellezza di 10.000 metri quadrati a Pittsburgh in Pensylvania. Il mio set di illuminazione era più grande che mai, così come i miei set di posa, le macchine fotografiche e il set di lenti. Poi ho cominciato a perdere interesse per i prodotti e ad averne sempre più per persone e animali, per i quali oggi lavoro quasi esclusivamente. Ora la mia clientela si è spostata dalle aziende del settore industriale e alimentare alle banche, alla sanità e ad altre aziende che lavorano nel sociale.

Il passaggio dalla pellicola al digitale è stato abbastanza facile per me, anche se mi ha spezzato il cuore il fatto che così tante brave persone dei laboratori fotografici abbiano perso il lavoro, una tragedia. Man mano che le mie competenze crescevano, volevo girare video e utilizzare le mie capacità di illuminazione e di regia in un business nuovo, business che è decollato a macchia d’olio, perché i clienti erano contentissimi di avere lo stesso videomaker che girava due formati che avevano lo stesso stile… e dovevano pagare una sola troupe. Il videomaking è oggi un pilastro del mio lavoro. Ma il fine commerciale della fotografia mi ha spesso fatto venir voglia di fare qualcosa di più artistico, anche se i miei clienti mi danno molta libertà con gli scatti e mi permettono di mettere la mia immaginazione nelle foto che realizzo per loro. Così, di nascosto, per così dire, mi concedo dei progetti. Ho condotto studi sui nativi americani, sui cani, sul surrealismo e sulla ritrattistica per citarne alcuni, ricavandone piccole collezioni. Qualche anno fa mi sono trasferito dallo studio a casa mia, perché la mia attività si basava prevalentemente sulla location. Oggi viaggio in giro per gli Stati Uniti con incarichi sul video e la fotografia che raccontano storie di aziende sia con fotografie che con video.

Quale consideri la tua fotografia migliore?
I miei scatti preferiti sono sul sito: www.harrygiglio.com.

Quali attrezzature utilizzi? Dedichi molto tempo all’editing delle immagini?
Canon 5D MARK III – 24-70 L – ISO 100

Che consiglio daresti a un aspirante fotografo che vuole trasformare la sua passione in un lavoro?
Il mio consiglio per i giovani fotografi è di imparare a maneggiare bene l’attrezzatura in modo da non pensarci quando si scatta. La luce, l’attrezzo, l’esposizione e la correzione meccanica devono essere naturali, in modo che tutto avvenga in modo armonioso. Non si tratta solo del processo, ma anche dell’evoluzione dell’immagine. Creare immagini per me è una sensazione forte, un’emozione interiore, come un film che ti tiene incollato alla sedia. Divento così mentalmente… e spiritualmente coinvolto in quello che sto scattando che perdo il senso di consapevolezza del resto della vita intorno a me. Con la fotografia di strada mi immagino già lo scatto, so cosa vedrò quando quella persona arriverà a quel punto…si metterà al suo posto…e sarà pronta. L’anticipazione e un po’ di intuizione migliorano le probabilità di ottenere una buona fotografia di strada…è raro avere fortuna. Se te la fai scappare, chiedi al tuo soggetto di camminare di nuovo nello stesso modo, il più delle volte acconsentiranno. Usate la vostra personalità… è il più grande strumento del fotografo… non l’attrezzatura! Per tutti gli altri tipi di scatti, immaginateli, createli nella vostra mente… poi mettete semplicemente la fonte di luce da dove ve l’eravate immaginata, è come vedere cosa racchiude il blocco di pietra prima che lo scultore lo scolpisca. Non ho un fotografo in particolare che mi piaccia più degli altri, ma mi piace vedere il lavoro di molti, di lavori ce ne sono davvero di ottimi. Quando avevo vent’anni è successo qualcosa nella mia vita che ha cambiato completamente il mio modo di vedere il mondo intorno a me, qualcosa che mi ha tolto la nebbia dagli occhi e mi ha condotto alla luce e alla composizione… una cosa che in quattro anni di scuola d’arte non mi era mai capitata. Da allora, il mio modo di usare la luce, il mio stile, se vogliamo, è cambiato e ho lavorato ogni giorno per migliorarlo. Non so quale sia il mio stile, io semplicemente immagino, intuisco un’immagine prima di trasferirla in una fotografia vera e propria… ma quasi sempre ho voglia di raccontare una storia, di esplorare e condividere un’emozione. Una cosa è certa, la fotografia mi ha dato l’opportunità di incontrare persone di tutti i ceti sociali, di vedere lavorare persone di ogni tipo, di andare in posti dove non sarei mai andato, di vedere le cose straordinarie che le persone creano, di vedere la sofferenza umana da vicino, di condividere in famiglie che non avrei mai incontrato, di vedere quanto la tecnologia sia pazzesca, di incontrare persone che hanno salvato migliaia di vite e di vedere l’umanità nei modi più insoliti che si possano immaginare.


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